Institutio alimentaria: Ragazzi, a tavola!

Tradotto dal francese


L’Arco di Traiano, a Benevento, in Campania (Pubblico dominio).

Abile stratega militare, statista sensato, amato dai suoi soldati e dal popolo. E generoso. L’imperatore Traiano era molto apprezzato, sia dai suoi contemporanei che dagli storici antichi. Fu daltronde sotto il regno dell’Optimus Princeps che l’Impero raggiunse la sua massima espansione.

Tra le opere “generose” di Traiano, vale la pena osservare da vicino l’Istitutio alimentaria, un provvedimento adottato nel 103 d.C. a favore dei bambini indigenti, orfani o meno, femmine o maschi, che vivevano nella penisola italiana.

Nel suo panegirico dedicato all’imperatore, Plinio il Giovane riassume la situazione:

“Non vanno meno di cinquemila, padri coscritti, i figli di condizione libera che la munificenza del nostro principe ha cercato, scoperto, adottato. Sono cresciuti a spese dello Stato, per essere il suo sostegno in guerra e il suo ornamento in pace; e imparano ad amare la patria, non come patria, ma come la madre che nutre la loro giovane età. È da loro che nascono gli accampamenti, è da loro che un giorno si popoleranno le tribù; da loro nascerà a sua volta una prole alla quale questo aiuto pubblico non sarà più necessario”[1]

Denaro prestato dall’imperatore

Lasciamo Plinio alle sue lodi e diamo un’occhiata a come funzionava questo sistema. L’imperatore iniziava per prestare il denaro del proprio patrimonio ai contadini. Questi dovevano garantire un’ipoteca sulla loro proprietà e accettare di pagare un tasso di interesse annuo del 5%. L’Obligatio praediorum era nata. Il denaro raccolto veniva utilizzato per sfamare i bambini poveri.

Ciò riempiva di ammirazione Plinio il Giovane:

“C’è dunque una cosa nella vostra munificenza che loderò più del resto: è che, con la vostra generosità verso il popolo e il vostro cibo per i bambini, ciò che date è vostro”[2]

Per quanto munifico, il gesto imperiale non era ovviamente privo di interesse. Traiano vedeva due vantaggi: mantenere un vivaio di futuri legionari, come spiega Plinio in altre parole; e metter un freno all’esodo rurale, dato che i contadini denaro in sufficienza per mantenere e coltivare le loro terre.

Per far funzionare tutto questo, i Romani nominarono una batteria di funzionari, i quaestores alimentorum, essi stessi agli ordini di un praefectus alimentorum.

Purtroppo questa attenzione ai dettagli e questa organizzazione puntiliosa non hanno lasciato molte tracce. Ne esistono solamente due.

Il primo è un bassorilievo su un arco trionfale dedicato a Traiano e situato nella città campana di Benevento. Mostra dei padri che portano i loro figli a un curatore che distribuisce cibo.

La tabula alimentaria trajanea fu scoperta casualmente nel 1747 (Di Sailko – Opera propria, CC BY-SA 4.0).

La seconda e senza dubbio più importante fonte di informazioni sull’Istitutio alimentaria è una tavola di bronzo rinvenuta nel XVIII secolo a Velleia, un grazioso paese ai piedi dell’Appennino tosco-emiliano che poteva essere utilizzato come tappa nel viaggio tra la Pianura padana e la Liguria.

La più grande iscrizione romana

Il foro di Velleia (Di Parma1983 – Opera propria, CC BY-SA 4.0).

Le 674 righe che compongono questa Tabula alimentaria traianea scritta su sei colonne contengono gli impegni di 50 proprietari per il beneficio complessivo di 246 ragazzi e 35 ragazze. Si tratta di due serie di obbligazioni: la prima risale all’inizio del II secolo e stabilisce valori per 72.000 sesterzi; la seconda serie di obbligazioni va dall’anno 106 al 114 e vale oltre un milione di sesterzi. Importi assegnati: 16 sesterzi al mese per i figli legittimi; 12 sesterzi per le figlie legittime e altrettanti per l’unico figlio illegittimo beneficiario; 10 sesterzi per l’unica figlia illegittima iscritta.

Questa famosa tavola di bronzo, che misura 2,86 metri per 1,38 metri, è probabilmente la più grande iscrizione romana sche ci è pervenuta. Ma ce n’è voluto poco che scomparisse per sempre. Scoperta per caso nel 1747 durante i lavori di sterro in un campo vicino alla chiesa di Velleia, questa tabula alimentaria fu inizialmente venduta pezzo per pezzo alle fonderie della regione. Ma due nobili locali, Giovanni Roncovieri e Antonio Costa, riuscirono a mettere le mani sul prezioso bronzo una volta per tutte.

La scoperta spinse gli archeologi dell’epoca a intraprendere degli scavi. In questo modo riuscirono a portare alla luce i resti di un’antica città romana, la cui esistenza fu attestata da Plinio il Vecchio: “Sulle colline di qua da Piacenza vi è la città dei veleiati”[3]

[1] Plinio il Giovane, panegyricus, XXVIII : «Paullo minus, Patres Conscripti, quinque millia ingenuorum fuerunt, quae liberalitas principis nostri conquisivit, invenit, adscivit. Hi subsidium bellorum, ornamentum pacis, publicis sumptibus aluntur, patriamque non ut patriam tantum, verum ut altricem amare condiscunt. Ex his castra, ex his tribus replebuntur; ex his quandoque nascentur, quibus alimentis opus non sit.»

[2] Plinio il Giovane, panegyricus, XXVII : «Quocirca nihil magis in tua tota liberalitate laudaverim, quam quod congiarium das de tuo, alimenta de tuo»

[3] Plinio il Vecchio, Naturalis historia VII 163 : «Citra Placentiam in collibus oppidum est Veleiatium»

Fonti

Aprile 2024, riproduzione proibita


Altri articoli del blog Nunc est bibendum


 

error: Le contenu est protégé