Tradotto dal francese
È risaputo che i Romani diluivano il vino con l’acqua, calda o fredda, a seconda dell’occasione. Non farlo significava correre il rischio di sprofondare rapidamente in un’ubriachezza incontrollata e, soprattutto, di essere considerato un barbaro ignaro di tutte le raffinatezze della civiltà greco-romana – un Gallo, per esempio. Era anche un sacrilegio, poiché il vino puro, o merum, veniva offerto agli dei come libagione.
Diluire il vino con l’acqua fa quindi parte dell’ordine delle cose romane… a patto che il cittadino padroneggi la proporzione della miscela, dal 30 al 50% di acqua, a quanto pare.
Ciò che è meno noto è che anche l’eccessiva diluzione del vino è disapprovata, se fatta da un mercante o da un oste. Il principio è semplice: è una frode. Diluendo troppo il vino, il commerciante senza scrupoli vende ai suoi clienti acqua al prezzo del vino. Un bene per i profitti, ma non per la reputazione.
Una reputazione consolidata
Questa usanza disonesta molto diffusa in epoca romana divenne addirittura oggetto di scherzi, derisioni e persino di rabbia.
Un cliente particolarmente irato, ad esempio, lasciò un resoconto della sua rabbia su un muro di Pompei:
«Queste bugie ti costano caro, oste! Ci vendi acqua e bevi tu stesso il vino»[1]
Circa vent’anni dopo che Pompei e i suoi graffiti furono sepolti sotto le ceneri del Vesuvio, la reputazione degli osti non era migliorata. Il poeta Marziale li criticò con il suo solito umorismo corrosivo:
«Colpita dalle continue piogge, la vendemmia è fradicia… Non potresti, oste, anche se volessi, vendere vino puro!»[2]
In un altro epigramma, ribalta l’argomento, riferendosi a una gravissima carenza di acqua potabile che aveva colpito la città di Ravenna:
«A Ravenna preferisco avere una cisterna che una vigna. Potrei vendere l’acqua molto più cara [del vino];
Di recente mi ha servito un astuto oste di Ravenna. Quando gli ho chiesto del vino mescolato con l’acqua, mi ha venduto del vino puro!»[3]
Per Marziale, l’oste era un truffatore incallito, e quando non era più a suo vantaggio diluire il vino, smetteva di farlo, qualunque cosa chiedesse il cliente.
Una lapide funeraria, oggi perduta, il cui testo è stato ritrovato nel 1899 in Macedonia, offre il punto di vista di un mercante. Si chiamava Vitalis, schiavo di un certo Faustus, morto all’età di 16 anni mentre gestiva una locanda per il suo padrone. Il suo epitaffio recita:
«Vi prego, viaggiatori, di non biasimare il mio padrone se talvolta ho potuto darvi meno del dovuto»[4]
È difficile sapere, naturalmente, se il rimorso sia sincero o dettato dal padrone che la lapide cerca di scagionare.
In ogni caso, sembra che le frodi fossero molto diffuse e che la diffidenza fosse sempre all’ordine del giorno.
Suggerimenti per i clienti sospettosi
Il cliente sospettoso poteva rivolgersi a Catone il Vecchio per trovare un metodo per catturare il mercante indelicato:
«Se vuoi sapere se l’acqua è stata aggiunta o meno al tuo vino, prepara un vaso di edera e riempilo con il vino che sospetti sia stato manomesso. Quando contiene acqua, il vino filtra attraverso le pareti del vaso e l’acqua rimane, perché il legno di edera lascia passare il vino.»[5]
Certo, a causa della presenza di alcol etilico, la densità del vino è leggermente inferiore a quella dell’acqua. Ma il vino, anche quando è puro, è comunque composto per l’80% da acqua… Difficile capire dinque come possa funzionare. Ecco un nuovo campo di indagine per l’archeologia sperimentale.
[1] CIL IV.3948: Talia te fallant / utinam me(n)dacia copo / tu ve(n)des acuam et / bibes ipse merum.
Le graffiti n’est plus conservé aujourd’hui, voir pompeiiinpictures pour son emplacement.[2] Marziale, Epigrammi, 1, 56: Continuis uexata madet uindemia nimbis / non potes, ut cupias, uendere, copo, merum
[3] Marziale, Epigrammi, 3, 56-57: Sit cisterna mihi quam vinea malo Ravennae / cum possim multo vendere pluris aquam // Callidus imposuit nuper mihi copo Ravennae / cum peterem mixtum, vendidit ille merum.
[4] Stele funeraria di Vitalis: Rogo vos viatores si quid minus dedi me<n>sura ut patri meo adicere(m) ignoscatis.
[5] Catone il Vecchio, L’agricoltura, CXI. Si voles scire in vinum aqua addita sit, nec ne. Si voles scire in vinum aqua addita sit, nec ne, vasculum facito de materia hederacia. Vinum id, quod putabis aquam habere, eodem mittito. Si habebit aquam, vinum effluet, aqua manebit. Nam non continet vinum vas ederaceum
Per ulteriori informazioni
- Marie-Adeline Le Guennec, Aubergistes et clients, L’accueil mercantile dans l’Occident romain (IIIe s. av. J.-C.-IVe s. apr. J.-C.), Publications de l’École française de Rome, 2019, Chapitre II. Pratiques économiques et commerciales des professionnels de l’accueil dans l’Occident romain.
- Paul Perdrizet, Trois inscriptions latines de Roumélie, Bulletin de Correspondance Hellénique Année 1900 24 pp. 542-552
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