Tradotto dal francese

Nel 2023, la scoperta di un affresco a Pompei fece scalpore. Su un tavolino, accanto a della frutta e a un bicchiere di vino, si intravede quella che assomiglia molto a una pizza. La notizia del ritrovamento dell’“antenato della pizza” ha fatto il giro del mondo, con grande orgoglio dei Napoletani che, come si sa, sono gli artefici di questo piatto emblematico della cucina italiana. Ovviamente però, non si tratta di una pizza in senso odierno.
In primo luogo, perché il pomodoro è un componente essenziale e questo frutto è originario del Messico – ed era quindi sconosciuto in Occidente durante l’antichità.
In secondo luogo, perché il condimento sembra essere composto principalmente da frutta, semi di melograno e datteri, cosa che non accade nelle pizze moderne – fatta eccezione per la variante “hawaiana”, odiata dalle parti del bel paese e in particolar modo dai Partenopei.
Pizza finta, vera curiosità culinaria
Quindi, se pizza non è, cos’è? Sotto i condimenti c’è una base rotonda, con bordi leggermente rialzati e una sfumatura marrone. Alcuni commentatori l’hanno riconosciuta come un piatto di terracotta o un cestino. Ma se si trattasse in realtà di una pagnotta di pane? Quale delle tante varietà antiche potrebbe essere?
La forma rotonda e piatta di questo pane ha indotto i ricercatori a ritenere che in latino fosse chiamato artolaganus. Nei testi latini si trovano pochissimi riferimenti a questo appellativo.
Il primo a menzionare questo particolare pane è stato Cicerone. In una lettera del 46 a.C., egli srive al suo vecchio amico L. Papirius Paetus, un cavaliere romano che vive in Campania. Cicerone annuncia la sua imminente visita, sottolineando che, dopo aver a lungo combattuto contro gli epicurei, egli stesso lo è diventato, deciso ormai a godere appieno dei piaceri della vita:
“Quindi preparatevi! Hai a che fare con un vero buongustaio, ma anche con un uomo che comincia a capire certe cose (e tu sai quanto siano insopportabili i nuovi iniziati alla conoscenza). Dovrete rinunciare alle vostre sportellae e ai vostri artolagus.”[1]
Le sportellae sono piccoli cestini destinati a contenere piccoli cibi freddi, mentre l’artolagus si riferisce al nostro pane piatto, che non sembra essere particolarmente popolare.
Una prelibatezza, secondo Plinio
Circa un secolo dopo, Plinio il Vecchio aveva un’opinione completamente diversa. In un capitolo della sua Storia Naturale dedicato ai cereali, menziona brevemente i diversi tipi di pane prodotti dai Romani:
“Sembra superfluo passare in rassegna i vari tipi di pane: alcuni prendono il nome dalle pietanze che li accompagnano, come gli ostrearii, altri per la loro raffinatezza, come gli artolagani, e altri ancora per la rapidità della loro preparazione, come gli speustici.”[2]
Apprendiamo quindi che gli artolagani sono particolarmente prelibati. Ma non ci sono indicazioni su come si preparano, poiché Plinio ritiene superfluo fornire dettagli.
Finalmente una ricetta… incompleta

Per avere finalmente qualcosa di crunchy da mangiare, dobbiamo rivolgerci a un autore romano che scrive in greco. I lettori ellenisti se ne saranno accorti: la parola artolaganus ha origine in quella lingua. Artos (ἄρτος) si riferisce al pane di grano e laganon (λάγανον) a una sorta di torta di pasta sfoglia al miele. Questo è quanto scrive Ateneo di Naucrate nel II secolo d.C., in un capitolo dei Deipnosofisti in cui descrive i diversi tipi di pane. Cita un trattato sulla panificazione di un altro autore greco, Crisippo di Tyana:
“In quello che si chiama artolaganon si aggiunge un poco di vino, pepe, latte, un poco di olio o di grasso.”[3]
Questo sì che è l’inizio di una ricetta! Ma poiché si tratta di aggiungere ingredienti, deve esserci una base comune per i diversi pani. Questa non è riportata nel testo di Ateneo sopra citato. Ognuno può quindi cercare di riprodurre la “pizza” pompeiana con una certa latitudine di interpretazione.
Ultima cosa sulla “pizza”. Infatti, la pizzella napoletana è citata per la prima volta nel racconto napoletano Lo Cunto de li cunti di Giambattista Basile, pubblicato nel 1634, cioè prima che il pomodoro, appena scoperto, fosse utilizzato nella cucina europea. I condimenti di questa pizza primitiva erano quindi molto diversi da quelli che conosciamo oggi. Non è dunque impossibile che l’affresco pompeiano e il piatto napoletano siano lontanamente imparentati!
Per saperne di più
- E-Journal degli Scavi di Pompei, Una natura morta con xenia dallo scavo della casa IX 10,1 a Pompei.
[1] Cicerone, Lettera a Paetus, 9.20.2: Proinde te para; cum homine et edaci tibi res est et qui iam aliquid intellegat (ὀψιμαθεῖς autem homines scis quam insolentes sint); dediscendae tibi sunt sportellae et artologam tui.
[2] Plinio, Storia naturale, 18, 27, 105: supervacuum videtur, alias ab opsoniis appellati, ut ostrearii, alias a deliciis, ut artolagani, alias a festinatione, ut speustici.
[3] Ateneo di Naucrate, Deipnosofisti, 3.79: εἰς δὲ τὸ καλούμενον ἀρτολάγανον ἐμβάλλεται οἰνάριον ὀλίγον καὶ πέπερι γάλα τε καὶ ἔλαιον ὀλίγον ἢ στέαρ. L’opera di Crisippo di Tyana sulla panificazione non è giunta fino a noi.
Altri articoli del blog Nunc est bibendum