Posca: che la forza dell’acido sia con te!

Tradotto dal francese


Sete intensa? Cosa ne dici di un po’ d’aceto diluito in acqua? Una volta superata la barriera dell’odore pungente e dell’acidità del primo sorso, potresti iniziare ad apprezzare questa bevanda che i Romani chiamavano “posca”. Era molto consumata, almeno da coloro che non potevano dissetarsi con un gran cru di Falerno: plebei, soldati e schiavi.

L’aceto aveva certamente il vantaggio di correggere il sapore di un’acqua di scarsa qualità, raramente insipida e inodore. Ma la sua acidità poteva anche eliminare i batteri. Le virtù antisettiche non erano l’unico beneficio che gli antichi attribuivano a questo vino alterato.

Plinio il Vecchio elogia molto le virtù medicinali dell’aceto. Non solo “dissipa il disgusto, ferma il singhiozzo; inalato, arresta lo starnuto; tenuto in bocca, previene il disagio causato dal calore dei bagni”, ma – ancora meglio! – è “un rimedio quando si inghiotte una sanguisuga: è anche un rimedio per la lebbra, per le eruzioni squamose, per le ulcere umide, per i morsi di cane, per le punture di scorpione, di centopiedi, di topi talpa, contro le punture velenose e pruriginose di tutti gli animali con aculeo”[1]. Seguono altre mille virtù.

Il papiro di Oxyrhynchus n° 1384 (Egitto, V o VI secolo) presenta una ricetta di posca purgativa (φουσκας καθαρσιου); cumino, semi di finocchio, sedano, costus (pianta indiana), mastice (gomma di lentisco), coriandolo, bacche di alloro, noci, pepe, poleggio, foglia (di silfio?), sale, aceto.

L’acqua acetata come rimedio era già utilizzata dai medici dell’antica Grecia, che la chiamavano “oxycrat” (ὀξύκρατον), letteralmente: la forza dell’acido. Tutte le sei ricette di posca che ci sono pervenute provengono da testi medici scritti tra il II secolo a.C. e il VI secolo d.C.[2]. In questa variante terapeutica, la bevanda include quasi sempre, oltre all’aceto e all’acqua, sale e menta poleggio. E vari altri ingredienti secondo i disturbi da trattare.

Bevanda del popolo e dell’esercito

La variante non medica della posca, la bevanda del popolo e dell’esercito, era certamente più semplice. Forse un po’ di miele per addolcirla ed alcune spezie per aromatizzarla. Ma anche senza altri artifici, l’acqua acidulata ha un sorprendente potere dissetante. Per il soldato che riceveva la sua porzione di aceto, la posca doveva essere una vera benedizione dopo una marcia estenuante[3]. Alcuni generali e imperatori amavano anche bere la posca, per rigorismo… o demagogia. Plutarco racconta che Catone il Vecchio beveva solo acqua quando era nell’esercito, a meno che non avesse una sete ardente, si concedeva allora una buona posca… Ma se sentiva che le sue forze lo stavano abbandonando, allora accettava di bere un po’ di vino scadente[4]. Nella Storia Augusto, un testo della fine del IV secolo, l’autore racconta che Adriano (imperatore dal 117 al 138) amava vivere con i suoi soldati e nutrirsi come loro di lardo, formaggio e posca[5]. Per l’esercito, l’acqua acidulata aveva anche un altro vantaggio, quello di non essere alcolica: raramente si è visto un esercito ubriaco eccellere sul campo di battaglia…

Economica, antisettica, dissetante, la posca ha anche fatto il suo ingresso nella gastronomia. Apicio propone due ricette di sala cattabia, un piatto fresco a base di mollica di pane immersa nella posca[6].

La ricetta: provate e gustate!

Ecco per la teoria. Ora non resta che assaggiare: diluisci circa una parte di buon aceto di vino in una dozzina di parti d’acqua, aggiungi un po’ di miele e eventualmente delle spezie (pepe, semi di coriandolo, zenzero…), lascia riposare, raffreddare o aggiungi dei cubetti di ghiaccio, filtra e bevi.

Che la forza dell’acido sia con te!

[1] Plinio il Vecchio, Storia Naturale, Libro 23, XXVIII, 1-2 : (…) per se haustum fastidia discutit, singultus cohibet, sternumenta olfactatum, in balineis aestus arcet, si contineatur ore (…) medetur pota hirudine, item lepris, furfuribus, ulceribus manantibus, canis morsibus, scorpionum ictibus, scolopendrarum, muris aranei contraque omnium aculeatorum venena et pruritus.

[2] Nicandro di Colofone, Aëtius Iatrica 3.81-82 (II secolo a.C., due ricette); Papiri di Oxyrhynchus 1384 (V o VI secolo); Anthimus, De Obsevatione Ciborum, 58 (VI secolo); Paolo di Egina, Epitomæ Medicæ 7.5.10 (VII secolo, due ricette).

[3] Secondo i Vangeli (Matteo 27, 48, Marco 15, 36, Luca 23, 36 e Giovanni 18, 29), un soldato romano tende a Gesù sulla croce una spugna imbevuta di aceto. Questo è spesso stato interpretato come un ulteriore atto di crudeltà. Ma, se si tratta di posca, potrebbe invece essere un gesto di compassione. Questa interpretazione positiva è tuttavia bilanciata dalla simbologia negativa associata all’aceto nella Bibbia, come nel Salmo 68: “quando avevo sete, mi hanno dato dell’aceto”. Su questo argomento, vedere l’articolo dettagliato Aurait-on pu donner autre chose à boire que du vinaigre au Christ en croix ? 

[4] Plutarco, Catone il Vecchio, 1.10: δωρ δ´ ἔπινεν ἐπὶ στρατείας, πλὴν εἴποτε διψήσας περιφλεγῶς ὄξος αἰτήσειεν ἢ τῆς ἰσχύος ἐνδιδούσης ἐπιλάβοι μικρὸν οἰνάριον.

[5] Storia Augusto, Vita di Adriano, IV.

[6] ] Apicio, De Re Coquinaria, Libro IV, I. Sala cattabia (125-127).

Prima pubblicazione nel giugno 2020, modificata nel maggio 2023. Riproduzione vietata.


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