Le avventure serpentine del cetriolo antico

Tradotto dal francese


“Cucumis” su un mosaico che decora il triclinio di una casa di Thysdus, III secolo. Museo del Bardo, Tunisia.

Chi l’avrebbe mai detto? Anche il cetriolo nel suo piccolo ha una storia, e non è necessariamente ciò che si pensa. Ma seguiamo il pedunculo e vediamo dove ci porta.

Per molto tempo si è pensato che il cucumis degli autori latini fosse equivalente al nostro cetriolo, chiamato nel XVIII secolo dal naturalista svedese Carl von Linné cucumis sativus, del genere cucumis della specie Cucurbitaceae. Si tratta di un grosso frutto che si mangia come una verdura, allungato e carnoso, con una buccia ruvida, pieno di semi traslucidi e acqua (oltre il 90%). È originario delle pendici dell’Himalaya e viene coltivato in India da 3.000 anni o più.

Alla fine del XX secolo, Jacques André, il grande specialista dell’alimentazione antica, non aveva dubbi che l’antico cucumis si riferisse effettivamente, almeno in ambito culinario, al nostro cetriolo moderno[1]. Ma questa affermazione fu presto messa in discussione. Uno sguardo agli autori latini potrebbe già essere un indizio.

Un frutto che si contorce

Nella sua opera sulla lingua latina, Varrone cerca di risalire all’origine di alcune parole, tra cui cucumeres (plurale di cucumis)[2].

“I cetrioli si chiamano cucumeres per la loro curvatura, così come si chiamano curvimeres”. L’etimologia è probabilmente imprecisa, ma non ha importanza: per Varrone, il cucumis aveva una forma curva, che difficilmente corrisponde al nostro cetriolo.

Plinio il Vecchio racconta una storia molto curiosa:

“Per quanto essi (i cucumeri) odiano per natura l’olio, amano l’acqua, anche tagliati. Strisciano verso di essa se non sono troppo lontani e fuggono invece dall’olio, oppure, se un ostacolo li ferma o se sono sospesi, si curvano e si contorcono. Questo può essere accertato anche in una sola notte, ponendo sotto un vaso contenente acqua, perché scendono di quattro dita prima del giorno successivo, mentre si raggomitolano a forma di uncino, se si dispone l’olio nello stesso modo”. [3]

È difficile imaginare il nostro cetriolo paffuto contorcersi così!

Cucumis flexuosus” in un erbario di Carare, intorno al 1400 (foto Wikimedia).

Il mistero è stato risolto dal ricercatore botanico Harry S. Paris. In uno studio pubblicato nel 2012[4], ha identificato il cetriolo romano come una varietà di melone, il cucumis melo var. flexuosus, noto come cetrangolo o cetriolo armeno[5] o cetriolo serpente. Questa varietà, che i ricercatori fanno risalire all’Egitto faraonico, si distingue per la lunghezza, le striature e la curvatura. Ha bisogno di molto sole, si raccoglie immaturo, contiene meno acqua (75%), è più amaro e ha una buccia più dura del cugino sativus. Non si trova sugli scaffali a nord delle Alpi, ma è ancora frequente nell’Italia centrale e meridionale con i nomi di meloni serpentini, cetriolo melone, tortarello barese o cetrangolo.

Cucumis ad ogni modo

Ora che sono stati identificati, resta da vedere come li preparavano i Romani. Apicio cita i cucumeri in sei preparazioni[6]. Due di queste sono ricette di sala cattabia, zuppe fredde contenenti un gran numero di ingredienti. Una ricetta è quella della patina, una gratinata che può essere fatta con cetrioli, asparagi, senape o germogli di cavolo. Apicio specifica che questa pasta vegetale può essere posta su un letto di pesce o di carne di pollo sbriciolati.

In un’altra ricetta, Apicio suggerisce di bollire i cetrioli sbucciati con cervello, spezie, miele, garum e olio d’oliva e di legarli con le uova.

Infine, esistono due preparazioni specifiche per i cucumeres, che probabilmente venivano consumati crudi (Apicio non menziona la cottura) e sbucciati, poiché la buccia dei cetrioli serpenti era un po’ spessa.In entrambi i casi, gli ingredienti principali sono il garum e l’aceto, più qualche spezia se necessario.Apicio afferma che, preparati in questo modo, “li troverai più teneri e non causeranno rutti o pesantezza”.[7]

Cetrangoli dalla Sicilia (foto Wikimedia).

Queste ultime due ricette ricordano da vicino la preparazione dei nostri cetriolini, che non sono altro che piccoli cetrioli conservati in aceto o in salamoia.

Questo modo di sgranocchiare i cetrioli era apparentemente molto popolare tra le élite, secondo Plinio il Vecchio, che racconta questo aneddoto:

“L’imperatore Tiberio li amava con passione; non ne perdeva mai un giorno.I suoi giardinieri li coltivavano in vasche munite di ruote, li portavano al sole e, d’inverno, li mettevano in serre.“[8]

Insomma, d’ora in poi potrete dirvi che ogni volta che azzannerete un cetriolino compirete un gesto imperiale.

[1] Jacques André, Les noms des plantes dans la Rome antique, Les Belles-Lettres, 1985, p.80.

[2] Varrone, De lingua latina, Libro V, 101: Cucumeres dicuntur a curvore, ut curvimeres dicti.

[3] Plinio il Vecchio, Storia naturale, Libro XIX, 65-66: Natura oleum odere mire nec minus aquas diligunt, desecti quoque. Ad eas modice distantes adrepunt, contra oleum refugiunt aut, si quid obstet vel si pendeant, curvantur intorquenturque. Id vel una nocte deprehenditur, si vas cum aqua subiciatur, a quattuor digitorum intervallo descendentibus ante posterum diem, at si oleum eodem modo sit, in hamos curvatis.

[4] Paris, H.S. Semitic-language records of snake melons (Cucumis melo, Cucurbitaceae) in the medieval period and the “piqqus” of the “faqqous”. Genet Resour Crop Evol 59, 31–38 (2012).

[5] Articolo Wikipedia: concombre arménien.

[6] Apicius, Della arte della cucina, III, 6,1(82)/2(83)/3(84); IV,1,1(125)/2(126); IV,2,7(134)

[7] Op. cit. IV,1,1: Sine ructu et gravitudine teneriores senties.

[8] Plinio il Vecchio, Storia naturale, Libro XIX, 64: Mira voluptate Tiberio principi expetitus. Nullo quippe non die contigit ei. Pensiles eorum hortos promoventibus in solem rotis olitoribus rursusque hibernis diebus intra specularium munimenta revocantibus.


Altri articoli del blog Nunc est bibendum


error: Le contenu est protégé