Tradotto dal francese
Di tanto in tanto contiamo sulle dita, ma non andiamo mai molto lontano. A dieci anni abbiamo esaurito le nostre risorse. Per aggirare l’ostacolo, i greci e poi i romani hanno inventato un modo per contare fino a 99 su una mano e quindi 9999 su entrambe. Ciò richiede ovviamente una buona memoria e una certa destrezza digitale.
La pratica era così radicata nella vita quotidiana che nessun autore antico si prese la briga di descriverla sistematicamente. Almeno fino all’VIII secolo. A quel tempo, quando l’Impero Romano non era più che un ricordo, un monaco della Gran Bretagna, Beda il Venerabile, registrò il metodo in dettaglio. Cristianizzato, il conteggio delle dita o “conteggio digitale” fu utilizzato nel Medioevo per calcolare le feste mobili del calendario religioso.
Poi il calcolo digitale greco-romano cadde gradualmente nell’oblio… fino all’inizio del XXI secolo.
Nel 2006, Gérard Minaud, dottore in storia del diritto e specialista dell’antichità romana (Università di Aix-Marseille), ha pubblicato un articolo dettagliato sull’argomento intitolato “Des doigts pour le dire”[1].
Lo studioso osserva che l’esistenza del computo digitale è confermata in almeno quarantotto testi latini scritti tra il III secolo a.C. e il IV secolo d.C.[2]. Ma questi autori fanno riferimento alla pratica a titolo di illustrazione o di aneddoto, senza nominarla. Solo due autori, Quintiliano e Apuleio, vi fanno riferimento come gestus computationis[3].
Una traccia ancora più antica si trova nel poeta comico greco Aristofane, che nel 422 a.C. scrisse quanto segue:
“E prima calcola semplicemente, non con i sassolini, ma con la tua mano, il tributo che ci è dovuto dal totale delle città alleate”.[4]
Se il ricorso alla tecnica di numerazione digitale “era così comune e senza spiegazioni nei testi, è perché il lettore romano li comprendeva certamente senza la minima difficoltà”, commenta Gérard Minaud, che poi confronta le spiegazioni di Beda il Venerabile con l’iconografia antica.
Ne è un esempio la stele del mercante di verdure di Ostia. Dietro la sua bancarella, la negoziante tende la mano destra, con l’anulare e il mignolo ripiegati sul palmo, esprimendo il numero otto. Un premio, senza dubbio. Per Beda, la mano destra era usata per le centinaia e le migliaia, ma la sua descrizione è teorica: “La mia ipotesi è che quando non si raggiunge il migliaio, una sola mano, sia la sinistra che la destra, potrebbe designare le unità e le decine mantenendo la stessa sintassi dattilologica”, analizza il ricercatore.
Qualche anno dopo Gérard Minaud, due ricercatori matematici, Jérôme Gavin e Alain Schärlig, hanno dedicato un intero libro alle antiche computazioni digitali[5], con l’ambizione di svelare messaggi nascosti nelle opere d’arte antiche osservando la posizione delle mani raffigurate. Jérome Gavin racconta come la sua curiosità si sia decuplicata durante una visita al Museo d’Arte e Storia di Ginevra con suo figlio. Osservando alcune edicole funerarie del II secolo provenienti da Palmira, notò che le mani delle figure raffigurate esprimevano tutte numeri in codice. Nel corso dei secoli, le statue hanno parlato un linguaggio simbolico ormai impercettibile ai più. Questo perché ogni numero, oltre al suo valore matematico, ha un significato simbolico. Questo significato variava ovviamente da luogo a luogo e da periodo a periodo[6].
Ma perché il conteggio digitale è effettivamente scomparso? I due matematici avanzano un’ipotesi: l’Impero romano era costituito da una moltitudine di popoli e culture che scrivevano i numeri in modi diversi. Come una speciale lingua dei segni, la rappresentazione manuale dei numeri costituiva un linguaggio universale senza parole. L’adozione diffusa dei numeri arabi alla fine del Medioevo avrebbe reso inutile questo tipo di comunicazione.
[1] Gérard Minaud, Des doigts pour le dire, Histoire & mesure, XXI – 1 | 2006, 3-34.
[2] Come in: Plauto (Mil., v. 203-204), Cicerone (Att., v. 21,13; Cael., xiv, 5), Ovidio (Fasti, iii, v. 119-126; Pont., ii, 3, v. 17-18), Seneca (Ep. xii, 88, 10), Plinio il Vecchio (N. H., ii, xxi, 87; xxxiv, xvi, 33; xxxiv, xix, 88), Quintiliano (i, 10, 35; xi, 3, 94; xi, 3, 114; xi, 3, 117), Giovenale (x, 248), Apuleio (Apol., 89, 6-7), Plinio il Giovane (Ep. ii, 20, 3), Svetonio (Claud.,xxi),
[3] Quintiliano, VII, 10, 35; Apuleio, Apol. 89, 6-7.
[4] Aristofane, Le vespe, 655.
[5] Jérôme Gavin e Alain Schärlig, Sur les doigts, jusqu’à 9999, La numération digitale, des Anciens à la Renaissance, 2014, Presses polytechniques et universitaires romandes. Jérôme Gavin è insegnante di matematica al Collège Voltaire di Ginevra. Alain Schärlig è matematico (Università di Ginevra) e ha conseguito un dottorato in economia politica (Università di Digione). Dopo essere andato in pensione, si è dedicato alla storia del calcolo, campo in cui ha pubblicato diversi lavori.
[6] Ecco una lettura simbolica dei numeri nell’antichità greco-romana, da prendere con cautela perché si tratta necessariamente di una semplificazione.
Il numero 1 simboleggiava l’unità primordiale, il principio creativo e l’origine di tutte le cose. Nella mitologia greca era associato ad Apollo.
Il numero 2 rappresentava la dualità, l’opposizione e la complementarità (giorno/notte, uomo/donna, ecc.). Era legato ad Artemide/Diana, sorella gemella di Apollo.
Il numero 3 era considerato sacro, associato a numerose triadi divine come Zeus/Giove, Poseidone/Nettuno e Ade/Plutone. Simboleggiava la perfezione e la completezza.
Il 4 rappresentava la stabilità e l’ordine cosmico, legato ai quattro elementi (terra, acqua, aria, fuoco) e alle quattro stagioni.
Il 5 simboleggiava armonia ed equilibrio. Era associato al matrimonio e ad Afrodite/Venere.
Il 6 era considerato un numero perfetto dai pitagorici. Rappresentava l’equilibrio e la creazione.
Il 7 era considerato un numero sacro che simboleggiava la totalità e la perfezione. Si trova nelle sette meraviglie del mondo antico.
Il numero 8 era associato alla giustizia e all’equilibrio cosmico. Rappresentava anche la rigenerazione.
Il 9 simboleggiava il completamento di un ciclo. Era collegato alle nove Muse della mitologia greca.
Il 10 rappresentava la perfezione divina e cosmica per i pitagorici. Era associato alla decade.
Il numero 11 simboleggiava l’eccesso. Era considerato un numero transitorio.
Il numero 12 aveva un’importanza particolare, come si vede nel pantheon dei dodici dei dell’Olimpo o nelle dodici fatiche di Ercole. Rappresentava la pienezza cosmica.
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