Anche i Romani avevano caldo. I climatologi sono stati in grado di determinare da pollini, ghiacciai, sedimenti e altre prove che il periodo dal 250 a.C. al IV secolo d.C. circa è stato eccezionalmente caldo. Questo «optimum climatico romano» coincise con l’espansione e il periodo di massimo splendore del potere romano. La sua fine, con la sua caduta. Così il clima, insieme alle epidemie e ai movimenti di popolazione, si aggiunge ora ai fattori che spiegano la caduta di Roma1.
Ma veniamo alla cagnetta, ossia la canicula, e a come evitare i suoi morsi. Per i Romani, il termine indicava una stella della costellazione del Cane Maggiore, nonché la stella più luminosa del cielo. Più comunemente gli diamo il nome greco di Sirio (Σείριος), che significa ardente. Gli antichi avevano notato che il periodo dell’anno in cui l’astro sorge e tramonta contemporaneamente al sole corrisponde al grande caldo.
Da migliaia di anni, quindi, le persone cercano modi per rinfrescarsi. Prima del XX secolo, la neve e il ghiaccio sulle vette di montagna erano quasi l’unica fonte di freddo.
Ateneo di Naucrate, un greco egiziano della fine del II secolo, cita un autore più antico che racconta che Alessandro Magno, cinque secoli prima, per assediare la città di Sogdiane-Petra (nell’attuale Uzbekistan), aveva portato una grande quantità di neve, conservata in fosse, per permettere ai suoi soldati di rinfrescarsi2.
I Romani industrializzarono la tecnica e misero in piedi una vera e propria catena del freddo. Le ostriche, ad esempio, venivano trasportate per mille chilometri per essere consumate ad Augusta Raurica (10 km a est dell’attuale città di Basilea).
La neve, che a volte veniva conservata per mesi, veniva utilizzata anche per raffreddare il vino, preparare bevande fredde o addirittura antiche granite con miele e frutta. Sebbene ingegnoso ed efficiente, il sistema di conservazione presentava alcuni difetti. Venivano scavate profonde cavità dove la neve veniva ammucchiata e poi ricoperta di paglia. Oltre alle infiltrazioni, la qualità del prodotto era irregolare, molto scarsa in superficie, molto migliore in profondità. E con il tempo la situazione è peggiorata. Seneca, da stoico severo, era offeso dal lusso che l’acqua ghiacciata rappresentava e ancor più dalla speculazione commerciale di cui era oggetto3.
Secondo Plinio il Vecchio4, l’uomo di cui Seneca fu precettore, l’imperatore Nerone inventò un’ulteriore raffinatezza: per evitare di consumare neve inquinata, la usava per raffreddare l’acqua pura, che aveva precedentemente bollito, perché paradossalmente questo accelerava il suo raffreddamento. In cima al Palatino, nella sala da pranzo girevole della Domus aurea, gli ospiti dell’imperatore gustavano quindi i sorbetti contemplando la città eterna, che non stava ancora bruciando. Una volta giunta la disgrazia, forse prima di uccidersi dopo una fuga senza speranza, Svetonio ci dice che Nerone ebbe un ultimo pensiero per i suoi sorbetti al gelato. «Mentre aspettava un modo per entrare segretamente nella villa, attinse l’acqua da uno stagno nel palmo della mano e la bevve, dicendo: Ecco il rinfresco di Nerone»5.
Qualis artifex pereo!6
1 Kyle Harper, Il destino di Roma. Clima, epidemie e la fine di un impero, Einaudi, 2019
2 Athénée de Naucratis, Deipnosophistes, Livre III. 124:
Οἶδεν δὲ καὶ ὁ καλὸς Ξενοφῶν ἐν ᾿Απομνημονεύμασι τὴν διὰ χιόνος πόσιν. Χάρης δ’ ὁ Μιτυληναῖος ἐν ταῖς περὶ ᾿Αλέξανδρον ἱστορίαις καὶ ὅπως δεῖ χιόνα διαφυλάσσεσθαι εἴρηκε, διηγούμενος περὶ τῆς πολιορκίας τῆς ἐν ᾿Ινδοῖς πόλεως Πέτρας, ὀρύξαι φάσκων τὸν ᾿Αλέξανδρον [ὀρύγματα] τριάκοντα ψυχεῖα, ἃ πληρώσαντα χιόνος παρεμβαλεῖν δρυὸς κλάδους. Οὕτω γὰρ παραμένειν πλείω χρόνον τὴν χιόνα.
«Anche l’eccellente Senofonte, nei suoi Memorabili, conosce l’uso della neve per bere, e anche Chares di Mitilene, nelle sue Storie di Alessandro, dice come la neve dovrebbe essere conservata. Descrive l’assedio di Petra, una città indiana. Racconta che Alessandro scavò trenta fosse di raffreddamento che riempì di neve e coprì con rami di quercia. In questo modo, diceva, la neve sarebbe durata a lungo.»3 Lucius Annaeus Seneca, Naturales Quaestiones 4b.13.8.3:
Nam sicut animo relictos stupentesque frigida spargimus, ut ad sensum sui redeant, ita viscera istorum vitiis torpentia nihil sentiunt, nisi frigore illa vehementiore perusseris. Inde est, inquam, quod ne nive quidem contenti sunt, sed glaciem, velut certior illi ex solido rigor sit, exquirunt ac saepe repetitis aquis diluunt. Quae non e summo tollitur sed, ut vim maiorem habeat et pertinacius frigus, ex abdito effoditur. Itaque ne unum quidem eius est pretium, sed habet institores aqua et annonam, pro pudor! variam. Vnguentarios Lacedaemonii urbe expulerunt et propere cedere finibus suis iusserunt, quia oleum disperderent. Quid illi fecissent, si vidissent reponendae nivis officinas et tot iumenta portandae aquae deservientia, cuius colorem saporemque paleis quibus custodiunt inquinant? At, dii boni, quam facile est extinguere sitim sanam! Sed quid sentire possunt emortuae fauces et occallatae cibis ardentibus? Quemadmodum nihil illis satis frigidum, sic nihil satis calidum est, sed ardentes boletos et raptim indumento suo mersatos demittunt paene fumantes, quos deinde restinguant nivatis potionibus.
«Come si getta acqua fresca su un uomo svenuto e privo di sentimenti per farlo tornare in sé, così lo stomaco, intorpidito da lunghi eccessi, non sente nulla, a meno che un freddo incisivo non lo penetri e lo bruci. Per questo, ripeto, la neve non le basta più; è il ghiaccio che vuole a tutti i costi, in quanto più consistente e quindi in grado di concentrare meglio il freddo. Si diluisce in acqua che viene versata più volte; e non si prende la parte superiore delle ghiacciaie, ma, affinché il freddo abbia maggiore intensità e persistenza, si estraggono i pezzi dal fondo. Inoltre, non ha sempre lo stesso prezzo; l’acqua non solo ha i suoi venditori, ma, peccato, ha anche tariffe diverse. I Lacedemoni cacciarono i profumieri dalla loro città e ordinarono loro di attraversare il confine al più presto, accusandoli di aver perso l’olio. Cosa avrebbero fatto se avessero visto le scorte di neve nei negozi e tante bestie da soma impegnate a trasportare quest’acqua, il cui colore e sapore sono denaturati nella paglia che la conserva? Eppure, santo cielo, quanto è facile soddisfare la sete naturale! Ma può qualcosa smuovere un palato stanco, reso insensibile dal calore del cibo? Per il fatto stesso che non riesce a trovare nulla di abbastanza fresco, nulla è abbastanza caldo per lei. I funghi bruciati, frettolosamente intinti nella loro salsa, vengono ingeriti ancora fumanti, per poi essere raffreddati da bevande sature di neve.»4 Gaius Plinius Secundus, Naturalis Historia 31.40:
Neronis principis inventum est, decoquere aquam, vitroque demissam in nives refrigerare. Ita voluptas frigoris contingit sine vitiis nivis. Omnem utique decoctam utiliorem esse convenit : item calefactam magis refrigerari, subtilissimo invento.
«Fu Nerone a concepire l’idea di far bollire l’acqua e poi metterla in un bicchiere per rinfrescarla sotto la neve; in questo modo si ha il piacere di bere fresco, senza temere gli inconvenienti dell’acqua di neve. L’acqua bollita è senza dubbio la migliore; inoltre, riscaldata, si presta meglio al raffreddamento, così ingegnosamente scoperto dal principe.»5 Gaius Suetonius Tranquillus, De Vita Caesarum Nero.47.3.1:
Dum clandestinus ad villam introitus pararetur, aquam ex subiecta lacuna poturus manu hausit et: ‘haec est,’ inquit, ‘Neronis decocta.’6 «Che artista muore con me!», le ultime parole di Nerone secondo Svetonio.
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