In mulso suavitas

Divinità Criophora, 480 a.C., Sicilia, collezioni del British Museum (foto CC BY-NC-SA 4.0).

L’idea di combinare l’asprezza del vino con la dolcezza del miele poteva uscire solo da una mente divina. In tal caso, Aristaeus, figlio di Apollo e della ninfa Cirene, secondo Plinio il Vecchio[1], autore romano del I secolo. Aristaeus – Aristaios in greco antico – è una divinità rurale poco nota, il cui culto si è diffuso dalla Grecia alla Sicilia, alla Sardegna e perfino sull’attuale Costa azzura francese, a Giens per l’esattezza, dove è stato scoperto un santuario a lui dedicato. È il tipico dio buono: oltre ad aver inventato il vino al miele – o mulsum – ha curato i malati incontrati lungo il sul suo cammino. Come il suo famoso collega Ermes, Aristeo era rappresentato come un buon pastore con una pecora sulle spalle, una figura che sarebbe poi diventata molto popolare per rappresentare un altro personaggio…

Ma torniamo al vino mielato. La bevanda è stata consumata sin da tempi remotissimi nel mondo ellenico. Il poeta Omero ne parla nell’Odissea[2]. Come per molte altre cose, i Romani devono il mulsum ai Greci.

Diversi autori latini ne danno varie ricette, tra cui Columella[3], Persia[4], Apicio e Palladio.  A volte, come nel caso di Columella, il mosto e il miele vengono mescolati prima della fermentazione. Più spesso, il composto viene preparato successivamente. Le spezie completano spesso la composizione. Apicio si spinge oltre: descrive un complesso processo di lavorazione volto a produrre, da un lato, un “meraviglioso vino mielato” (condita paradoxum) e, dall’altro, “un vino mielato che si conserva per sempre” (conditum melizomum perpetuum)[5].

Mosaico del trionfo di Bacco, III secolo, Museo di Sousse (Tunisia). (foto wikimedia commons).

Per i Romani, il mulsum non doveva essere consumato con leggerezza; non era lora (pessimo) e nemmeno merum (vino puro). Si beveva come aperitivo (gustatio) o durante i banchetti per le occasioni speciali. Lo storico Tito Livio[6] e il poeta Plauto[7] raccontano che i soldati vittoriosi venivano ricompensati con esso durante un trionfo. In una commedia che ispirò molto Molière, Plauto ritrae un avaro che cerca di contrattare con la dea Fides: se lei lo aiuta a scoprire una pentola piena d’oro, lui le offrirà una botte piena di mulsum. Ma l’avaro chiarisce fin dall’inizio che intende bere il vino dopo averle dedicato alla dea[8]. È come avere la botte piena e la moglie ubriaca, come si direbbe oggi.

Oltre a essere delizioso, il mulsum era considerato sano. Citando Varone, Plinio indica che l’itterizia era soprannominata “malattia reale” perché veniva curata bevendo vino mielato. Specifica inoltre che “questa bevanda ricorda l’appetito; presa fredda, rilassa lo stomaco, e presa calda lo stringe comunemente”. Poi riporta un aneddoto: all’imperatore Augusto che gli chiedeva come avesse fatto a mantenersi in forma fino a 100 anni, un certo Romilius Pollio aveva risposto: intus mulso, foris oleo (vino mielato dentro, olio fuori)[9].

Un simile tesoro non poteva scomparire con l’Impero Romano: dopo essere sopravvissuto in forma anonima, riemerse nel XIV° secolo con il nome di hypocras. Nome dato in onore del medico Ipocrate, per sottolineare le virtù curative della bevanda. Un omaggio in più all’antica Grecia.

[1] Plinio, Naturalis historia, XIV, VI (53)
(53) Vino antiquissimo claritas Maroneo in Thraciae maritima parte genito, ut auctor est Homerus. neque enim fabulosa aut de origine eius varie prodita consectamur, praeterquam Aristaeum primum omnium in eadem gente mel miscuisse vino, suavitate praecipua utriusque naturae sponte provenientis.

“Il vino più famoso dell’antichità è quello di Maronea, sulla costa della Tracia; ne parla Omero. Tralascio le diverse favole e tradizioni sulle origini; mi limito a notare che Aristeo, dello stesso paese, fu il primo a mescolare il miele con il vino, due prodotti naturali di prima eccellenza”.
[2] Omero, Od., IX, 1 97
[3] Columella, 12, 194.
[4] Persia, 87.
[5] Apicio, I, I (1-2)
[6] Tito Livio, 38, 55, 2.
[7] Plauto, Bacchis, 1074.
[8] Plauto, Aulularia, 621.
[9] Plinio, Naturalis historia, XXII, LIII
(113) Semper mulsum ex vetere vino utilissimum, facillimeque cum melle concorporatur, quod in dulci numquam evenit. ex austero factum non inflat stomachum, neque ex decocto melle, minusque implet, quod fere evenit; adpetendi quoque revocat aviditatem cibi. alvum mollit frigido potu, pluribus calido sistit, corpora auget.
(114) multi senectam longam mulsi tantum intrita toleravere, neque alio ullo cibo, celebri Pollionis Romili exemplo. centensimum annum excedentem eum divus Augustus hospes interrogavit, quanam maxime ratione vigorem illum animi corporisque custodisset. at ille respondit: intus mulso, foris oleo. Varro regium cognominatum arquatorum morbum tradit, quoniam mulso curetur.
“Per quanto riguarda il vino mielato, il migliore è quello ottenuto da vino vecchio: il miele vi si incorpora molto facilmente, cosa che non accade con il vino dolce. Preparato con vino astringente, non gonfia lo stomaco, né lo gonfia se il miele è stato bollito, e provoca meno flatulenza, un normale svantaggio del vino al miele. Questa bevanda stimola l’appetito; preso freddo, rilassa lo stomaco, mentre preso caldo comunemente lo stringe.
Fa ingrassare. Molti hanno raggiunto una lunga vecchiaia mangiando solo pane pane in vino mielato; Pollion Romilius ne offre un famoso esempio. Aveva più di cento anni quando il dio Augusto, suo ospite, gli chiese con quali mezzi si fosse mantenuto in un tale vigore di corpo e di spirito e spirito: “Vino mielato dentro, olio fuori”, rispose. Secondo Varrone, l’ittero era chiamata malattia reale perché viene curata con il vino mielato.

 


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