Silphium, prima vittima dello sfruttamento

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Le tribù libiche lo scoprirono, i Greci ne fecero un mito, i Romani ne provocarono la perdita. Secondo Plinio il Vecchio, era “un prezioso dono della natura”[1]. Ecco i tre atti del destino di una pianta straordinaria, scomparsa 2000 anni fa, ma che alcuni «Indiana Jones» odierni non disperano di ritrovarne le traccie…

La Coupe d'Arcésilas (ou Coupe d'Arkesilas) est un kylix (vase peu profond et évasé), produit par le céramiste de Laconie connu sous le nom de Peintre d'Arcésilas. La coupe représente le souverain Arcésilas II (Arkesilas), roi de Cyrène, et est datée entre - 565 et - 560 av. J.C. La coupe fut trouvée à Vulci et se trouve désormais au Cabinet des médailles de la Bibliothèque nationale de France à Paris.
Questa coppa, prodotta in Laconia tra il 565 e il 560 a.C., raffigura il sovrano Arcésilas II che supervisiona la pesatura e lo stoccaggio del silphion. È stata rinvenuta a Vulci e si trova oggi nel Cabinet des médailles della Bibliothèque nationale de France a Parigi.

La storia inizia nel VII secolo a.C., quando i coloni greci dell’antica Thera (isola di Santorini), guidati da un certo Battos, si trasferirono nel territorio dell’attuale Libia e fondarono il regno di Cirene. Scoprirono che gli indigeni apprezzavano molto il succo di una pianta che serviva forse come condimento, ma soprattutto come medicina. Chiamarono la pianta silphion (σίλφιον), probabilmente trasponendo il nome locale in greco.

Nel giro di un secolo o due, il piccolo regno greco di Cirene costruì un’immensa prosperità esportando il prezioso succo, che veniva venduto a peso d’argento. Nel mondo greco, l’espressione «il silphion di Battos», presente nel poeta Aristofane[2], divenne sinonimo di «tutto l’oro del mondo». Una coppa del VI secolo a.C. mostra la pesatura del silphion. Si vede il re di Cirene, Aresilao II, che presiede alle operazioni: attorno ad una grande bilancia, gli uomini consegnano, pesano, impacchettano e immagazzinano la merce preziosa.

Fonte di immensa ricchezza, la pianta è rappresentata anche sulle monete cirenaiche. Il suo aspetto è noto in modo schematico: attorno a un grande fusto scanalato si trovano due o tre palchi di foglie opposte; alla sommità, i fiori formano un grappolo sferico[3]. Cresce naturalmente nella steppa libica subsahariana, il silfione non è mai stato acclimatato altrove, nonostante i numerosi tentativi, come riferisce il medico Ippocrate[4].

Anche gli autori greci e romani[5] forniscono informazioni sulla preparazione e sull’uso del silphion. È il succo che si raccoglie tagliando gli steli o le radici. Per conservarlo, viene coagulato ed essiccato, talvolta mescolato con farina. Il prodotto lavorato si presenta quindi sotto forma di piccoli blocchi di resina, che possono essere conservati ed esportati.

Pièce d'or de Cyrène, datée entre 308 et 277 av. J.-C., représentant un plant de silphium.
Moneta d’oro di Cirene, datata tra il 308 e il 277 a.C., raffigurante una pianta di silfio.

Per quanto riguarda le virtù medicinali del silfione, esse sono estremamente numerose e varie: curare l’angina e altri raffreddori, curare le malattie nervose, alleviare le mestruazioni dolorose, ridurre le emorroidi e persino curare la calvizie. “Sarebbe un compito immenso enumerare tutti gli usi a cui è destinato nelle composizioni in cui viene messo”[6], scrive Plinio alla fine di una già lunga enumerazione. Buono per tutto, il silphium potrebbe anche aver avuto fama afrodisiaca, ma Plinio non lo menziona[7]. Anche sugli animali, la pianta sembra avere avuto proprietà sorprendenti:

“Se capita che una bestia incontri un piede nascente, o lo riconosca da questo segno: dopo averlo mangiato, la pecora si addormenta subito, la capra starnutisce.”[8]

Alla fine del II secolo a.C., l’antico regno di Cirene divenne romano. Così come le sue ricchezze botaniche e di qualisiasi tipo. Silphion si traduce in sirpe o silphium. I latini chiamavano anche il prodotto della pianta del lac serpitium, o latte di sirpe, da cui il termine laserpitium, presto abbreviato in laser.

Il successo del «prezioso dono della natura», ovviamente, diminuì.

Plinio racconta che Giulio Cesare trovò nel tesoro pubblico di Roma una riserva di quindici quintali di silphium (circa 500 chili), conservata con oro e argento. Non coltivabile, non acclimatabile altrove, vittima di un eccessivo sfruttamento unito alla distruzione del suo ambiente naturale e senza dubbio anche di un cambiamento del clima locale[9], il silphium era già un ricordo all’epoca di Plinio, nel I secolo. L’autore spiega che:

“Da diversi anni esso [il silphium] è scomparso dalla Cirenaica, perché gli allevatori dei pascoli lasciano che, trovandovi un maggior profitto, le mandrie pascolino nelle località dove questa pianta viene. Ai nostri tempi è stata scoperta una sola pianta, che fu inviata all’imperatore Nerone.”[10]

È quindi l’imperatore, ritenuto pazzo, che avrebbe avuto tra le mani uno degli ultimi esemplari della prima pianta vittima dell’eccessivo sfruttamento umano…

Oltre che come curiosità estremamente rara, il mondo romano dell’inizio della nostra era non conosceva il silphium della Cirenaica. Tuttavia, alla fine del I secolo, il cuoco Apicio lo cita in una ventina di ricette, e con il nome di laser altre sessanta volte… Per quale mistero?

Ferula assa-foetida dans le désert de Kyzylkum, Ouzbékistan
 Una pianta di Ferula assa-foetida nel deserto di Kyzylkum, in Uzbekistan. È una delle specie che possono essere utilizzate per produrre l’attuale hing indiano (foto Wikimedia commons).

Ovviamente i Romani, che non erano gli privi di astuzia, non lasciarono evaporare questo mer-cato. Trovarono dei sostituti da piante vicine che crescevano in altre regioni. Non era altrettan-to buono, ma sempre meglio di niente. Il principale sostituto proveniva dalla Persia e dalla Media, da piante che portano il dolce nome di foetida – fetida, per l’odore di uovo marcio che emanano. Il procedimento è rimasto invariato: il succo viene estratto ed essiccato per conser-varlo e utilizzato grattugiato in piccole dosi.

Questa preparazione non ha avuto un grande futuro in Occidente. Ma è diventata un elemento indispensabile della cucina tradizionale indiana con il nome di asafoetida o hing[11]. Per cucinare l’antica cucina romana, oggi è quindi necessario rifornirsi da una spezieria indiana.

Il mistero del silphium originale rimane tuttavia irrisolto e ricercatori più o meno seri si mettono regolarmente in rotta verso questo tesoro irraggiungibile.

Nel settembre 2022, un ricercatore turco ha fatto notizia, affermando di aver riscoperto la pianta miracolosa sulle pendici di un vulcano in Cappadocia[12]. La scoperta sembra al momento avere poco supporto scientifico, ma il ricercatore si è affrettato a provare le qualità chimiche e culinarie della “sua” pianta. Secondo lui, avrebbe proprietà straordinarie. Un po’ stressato, confida: “Se tutti cominciano a fare la salsa di silphium, non ne avremo abbastanza!”

Nel caso improbabile che l’antica pianta venga effettivamente identificata, la seconda estin-zione potrebbe essere ancora più rapida della prima.

[1] Plinio il Vecchio, Storia naturale, 22, 49.

[2] Aristofane, Ploutos, 925.

[3] Queste caratteristiche permettono di stabilire che il silphion appartiene alla famiglia botanica delle Apiaceae (Umbelliferae).

[4] Ippocrate, Malattie, 4, 34.

[5] Le testimonianze principali sono quelle di Teofrasto (Historia plantarum, 6.3) e di Plinio il Vecchio (Naturalis Historia, 19.3 e 22.49), che ripete quasi integralmente il testo del suo predecessore.

[6] Plinio il Vecchio, Storia naturale, 22, 49, 106 : quas habet utilitates admixtum aliis, inmensum est referre.

[7] Solo il poeta Catullo sembra alludere a questa proprietà (Lesbie, 3, I baci).

[8] Plinio il Vecchio, Storia naturale, 19, 15: si quando incidit pecus in spem nascentis, hoc deprehenditur signo: ove, cum comederit, dormiente protinus, capra sternuente crebrius.

[9] Nel 2022, molti media hanno riportato uno studio americano sulla scomparsa del silphium, ma con un’angolazione leggermente diversa. Mentre i ricercatori Paul Pollaro e Paul Robertson dell’Università del New Hampshire miravano a dimostrare che la pianta era scomparsa a causa del duplice impatto della demografia umana e della grave siccità che aveva gradualmente preso piede nella regione sub-sahariana, la maggior parte dei titoli dei media si concentrava sulla pianta preferita di Cesare, che si supponeva fosse il Viagra dell’antichità…

[10] Plinio il Vecchio, Storia naturale, 19, 15: Multis iam annis in ea terra non invenitur, quoniam publicani, qui pascua conducunt, maius ita lucrum sentientes depopulantur pecorum pabulo. unus omnino caulis nostra memoria repertus Neroni principi missus est.

[11] Articolo Ase fétide su Wikipedia.

[12] National Geographic, 28 settembre 2022, On la croyait éteinte depuis 2 000 ans, cette plante miracle pourrait faire son grand retour.

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