Tradotto dal francese

Plinio il Vecchio, nel I secolo, non usava mezzi termini: per lui, il latte cagliato era una questione di barbari. Si vede l’immagine: cavalieri nomadi che percorrono le steppe con, attaccati alla sella, otri di latte di pecora che fermenta sotto gli scossoni… Si stupiva:
«È sorprendente che le nazioni barbare, che vivono di latte, ignorino o disdegnino da tanti secoli il pregio del formaggio, benché, d’altronde, sappiano far cagliare il latte per formarne una bevanda dall’acidità gradevole e un burro grasso»1
L’enciclopedista romano seguiva in realtà un’antica tradizione greco-romana, secondo la quale il consumo di olio d’oliva e di formaggio segna uno stato di civiltà superiore, mentre i barbari devono accontentarsi di latte cagliato e di burro. Nel IV secolo a.C., il poeta comico greco Anassandride scherniva i Traci trattandoli da «mangiatori di burro».
Bevitori di latte contro mangiatori di formaggio
In realtà, formaggio o no, il latte fermentato (latte acido, latte cagliato o ancora latte inacidito secondo il procedimento – e più tardi yogurt) è attestato come prodotto alimentare da millenni presso tutti i popoli antichi, fin dalla domesticazione degli animali produttori di latte: vacca, e soprattutto pecora e capra.
Otto secoli prima della nostra era, Omero racconta nell’Odissea che il ciclope, dopo aver munto capre e pecore, «fece cagliare la metà del latte, candido di bianchezza, lo raccolse e lo depose in cesti di giunco; poi, versò l’altra metà in vasi, per berla in seguito e farne il suo pasto serale»2.
E 2500 anni fa, lo storico e geografo greco Erodoto descrive una tecnica degli Sciti, consistente nel «rimestare e agitare» il latte in recipienti di legno, per separare il burro dal latticello.
Per quanto romani fossero, i contemporanei di Plinio non hanno certo disdegnato il latte fermentato. Del resto, due parole latine designano queste preparazioni lattiere, che si rivelano essere due nomi per uno stesso tipo di prodotto3.
Oxygala innanzitutto, preso in prestito dal greco ὀξύγαλα (da ὀξύς, acido, e γάλα, latte). Plinio il Vecchio ne descrive il procedimento più semplice: dopo aver zangolato del latte leggermente addizionato d’acqua in lunghi recipienti dall’apertura stretta, si recupera il caglio che risale in superficie. «Ciò che se ne ricava, dopo avervi aggiunto del sale, lo chiamano oxygala», spiega4. Il resto, una volta bollito, produce il burro. Ma Plinio cataloga soprattutto questi prodotti tra i rimedi, precisando che «la sua natura è di essere astringente, emolliente, incarnante, purgativo». Al di là di questa ricetta di base – che permetteva di inoculare del latte fresco per farlo inacidire, poi di rinnovare costantemente la preparazione –, Columella propone una versione gastronomica ben più sofisticata: dieci giorni di stagionatura con scolature successive del siero, macerazione di erbe fresche (origano, menta, cipolla, coriandolo), poi condimento finale al timo, alla santoreggia e al porro tritato5. Una vera e propria conserva di latte inacidito alle erbe, ben lontana dal semplice cagliato.
Quando Roma rinfrescava la sua melca con la neve
L’altro termine, melca – forse imparentato col latino mulgere, «mungere» – designa lo stesso tipo di preparazione. Il medico Galeno, nel II secolo, conferma che la melca figura tra «le vivande che godono di buona reputazione a Roma». La prescrive ai suoi pazienti che soffrono di calore eccessivo o di atonia gastrica, sempre servita ben fredda, raffreddata con la neve secondo l’uso romano6. Lungi dall’essere un semplice rimedio, questo latte fermentato aveva conquistato le tavole della capitale, consumato accanto ad altre delicatezze lattee come l’aphrogala (latte schiumoso). Apicio, dal canto suo, propone una ricetta di dessert al latte cagliato. Senza sospettare che avrebbe urtato il nostro gusto moderno, lo condisce con pepe e garum, o più sobriamente con sale, olio e coriandolo7.
Ma per fortuna per noi, è più che probabile che questi latti fermentati si accompagnassero anche con miele e noci, secondo una tradizione perpetuatasi fino ai giorni nostri in Grecia.
1 Plinio il Vecchio, Historia Naturalis, Liber 11, 96 (239): Mirum barbaras gentes, quae lacte vivant, ignorare aut spernere tot saeculis casei dotem, densantes id alioqui in acorem iucundum et pingue butyrum.
2 Hómēros, Odýsseia, 9, 245-248: Αὐτίκα δ᾽ἥμισυ μὲν θρέψας λευκοῖο γάλακτος πλεκτοῖς ἐν ταλάροισιν ἀμησάμενος κατέθηκεν, ἥμισυ δ᾽αὖτ᾽ἔστησεν ἐν ἄγγεσιν ὄφρα οἱ εἴη πίνειν αἰνυμένῳ καί οἱ ποτιδόρπιον εἴη.
3 L’equivalenza tra i due termini è confermata da Antimo (VI secolo), De observatione ciborum, 78: oxygala, quod Latini uocant melcam, id est lac quod acetauerit. «oxygala, che i Latini chiamano melca, cioè del latte che è inacidito»).
4 Plinio il Vecchio, Historia Naturalis, 28, 35 (133-134): E lacte fit et butyrum, barbararum gentium lautissimus cibus et qui divites a plebe discernat. […] sed hieme calefacto lacte, aestate expresso tantum, crebro iactatu in longis vasis angusto foramine spiritum accipientibus sub ipso ore alias praeligato. additur paulum aquae, ut acescat. quod est maxime coactum, in summo fluitat; id exemptum addito sale oxygala appellant. relicum decocunt in ollis; ibi quod supernatat, butyrum est, oleosum natura. […] natura eius adstringere, mollire, replere, purgare. «Dal latte si fa anche il burro, cibo raffinatissimo presso i popoli barbari e che distingue i ricchi dal popolo. […] ma in inverno con latte riscaldato, in estate con latte appena munto, mediante agitazione ripetuta in lunghi recipienti dall’apertura stretta che lasciano passare l’aria, essendo l’orifizio peraltro chiuso. Si aggiunge un po’ d’acqua affinché inacidisca. Ciò che è maggiormente addensato galleggia in superficie; ciò che se ne ricava, dopo avervi aggiunto del sale, lo chiamano oxygala. Il resto lo fanno bollire in pentole; lì, ciò che soprannuota è il burro, di natura oleosa. […] La sua natura è di essere astringente, emolliente, incarnante, purgativo.»
5 Columella, De re rustica, 12, 8, Oxygalae compositio: Oxygalam sic facito : ollam novam sumito eamque iuxta fundum terebrato ; deinde cavum, quem feceris, surculo obturato et lacte ovillo quam recentissimo vas repleto eoque adicito viridium condimentorum fasciculos origani, mentae, cepae, coriandri. Has herbas ita in lacte demittito, ut ligamina earum exstent. Post diem quintum surculum, quo cavum opturaveras, eximito et serum emittito ; cum deinde lac coeperit manare, eodem surculo cavum obturato, intermissoque triduo, ita ut supra dictum est, serum emittito et fasciculos condimentorum exemptos abicito, deinde exiguum aridi thymi et cunelae aridae super lac destringito concisique sectivi porri quantum videbitur adicito et permisceto ; mox intermisso biduo rursus emittito serum cavumque obturato et salis triti quantum satis erit adicito et misceto. Operculo deinde inposito oblinito. Non antea aperueris ollam, quam usus exegerit. «Farai l’oxygala così: prendi una pentola nuova e forala vicino al fondo; poi, tura il buco che avrai fatto con un ramoscello, e riempi il recipiente di latte di pecora il più fresco possibile, e aggiungivi mazzetti di aromi verdi: origano, menta, cipolla, coriandolo. Immergi queste erbe nel latte in modo tale che le loro legature sporgano. Dopo il quinto giorno, togli il ramoscello con cui avevi turato il buco e lascia scolare il siero; poi, quando il latte comincerà a colare, tura di nuovo il buco con lo stesso ramoscello, e dopo aver lasciato passare tre giorni, come è stato detto sopra, lascia scolare il siero e togli i mazzetti di aromi per gettarli; quindi, sbriciola sopra il latte un po’ di timo secco e di cunila secca, e aggiungi del porro tritato finemente quanto ti sembrerà opportuno, e mescola; presto, dopo aver lasciato passare due giorni, lascia di nuovo scolare il siero, tura il buco, aggiungi del sale tritato in quantità sufficiente e mescola. Quindi, dopo aver posto il coperchio, sigillalo. Non aprirai la pentola prima che l’uso non lo richieda.»
6 Galeno, De sanitate tuenda (Hygieina), 6 (ed. Kühn, p. 811): ἐν οἷς ἐστι καὶ ἡ μέλκα, τῶν ἐν Ῥώμῃ καὶ τοῦτο ἓν εὐδοκιμούντων ἐδεσμάτων, ὥσπερ καὶ τὸ ἀφρόγαλα. «Tra i quali si trova anche la melca, che è una delle vivande che godono di buona reputazione a Roma, proprio come l’aphrogala»; e 10 (ed. Kühn, p. 468): καθάπερ γε καὶ τῆς καλουμένης παρὰ Ῥωμαίοις μέλκης ἐψυχρισμένης, ἀφρογάλακτός τε καὶ τῶν διὰ γάλακτος ἐδεσμάτων. «così anche la [preparazione] chiamata melca dai Romani, raffreddata, come pure l’aphrogala e le vivande a base di latte».
7 Apicio, De re coquinaria, 7, 11: Melcas: cum piper et liquamen, vel sale, oleo et coriandro. «Melcas: con pepe e garum, oppure sale, olio e coriandolo.»).
Fonti:
- L’alimentation et la cuisine à Rome, Jacques André, Les Belles Lettres, Paris (FR), 2018 (réédition), p. 156-157.
- Autori antichi citati: Omero, Plinio il Vecchio, Columella, Galeno, Apicio.
- Le fromage en Gaule à l’âge du Fer et à l’époque romaine : état des lieux pour sa production et analyse de sa place dans le monde antique, Alain Ferdière et Jean-Marc Séguier, 2020.
Versione del 21.11.2025, prima edizione 29.1.2022
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