Storia di un vino romano, il passum ricomposto

Tradotto dal francese


Il porto di Cartagine (ricostruzione).

Roma distrusse Cartagine, ma non la sua intera eredità. Tra l’altro, dobbiamo a Magone, agronomo punico del III secolo prima della nostra era, la descrizione più precisa dell’arte di fare un vino dolce molto apprezzato durante l’Antichità, il passum[1]. Certo, Esiodo, nelle sue Opere e Giorni (609-614), evoca già la tecnica del vino di uva passa, e Omero potrebbe alludere a un’essiccazione sulla pianta nell’Odissea (VII, 123-125), ma è in Africa che il passum trova la sua codificazione più sofisticata.

Il testo di Magone è stato perso, ma l’agronomo romano Columella, nel I secolo, fa abondante riferimento alla fonte del suo predecessore. “Magone prescrive di fare così l’eccellente passum, come ho fatto anch’io.”[2]

Columella riporta fedelmente il metodo cartaginese: “Raccogliere ben mature i grappoli d’uva precoce; scartare gli acini secchi o alterati.” Solo le uve perfette meritano di diventare passum.

Il seguito svela una vera ingegneria dell’essiccazione: graticci sopraelevati a quattro piedi di distanza, protezione notturna contro la rugiada, circolazione d’aria ottimizzata. Ma il sapere di Magone non si ferma qui. Una volta essiccate le uve, inizia un’operazione sottile: gli acini vengono reidratati con il miglior mosto possibile. Per sei giorni, assorbono questo succo fresco. Una volta gonfi, vengono posti in ceste e pressati per dare il passum di prima qualità.

Perfezionamento romano

La technique de concentration des sucres par déshydratation naturelle des raisins porte aujourd’hui le nom de passerillage, rappelant dans sa racine l’antique passum (photo Wikimedia).
I Romani perfezionano la tecnica cartaginese, sviluppando tutto un arsenale di varianti. Columella propone per l’uva Apiana –il moscato romano– un metodo ancora più sofisticato: sospensione dei grappoli interi, stratificazione a strati bagnati con vino vecchio, estrazione per gradi per creare una complessità impossibile da ottenere altrimenti.
Nulla viene sprecato. Dopo la prima spremitura, la vinaccia subisce un secondo trattamento: mescolata al mosto fresco, pigiata, pressata e fermentata per venti-trenta giorni. Questa seconda estrazione produce il passum secundarium, di qualità minore, ma rivelatrice di un approccio quasi-industriale.

Columella racconta che alcuni produttori trovano ancora il modo di recuperare un terzo prodotto dalle stesse uve: “Alcune persone lasciano invecchiare per questo uso l’acqua piovana, e la fanno bollire fino a ridurla della metà. Quando hanno essiccato la loro uva come ho spiegato, usano quest’acqua invece del vino, e terminano l’operazione come sopra. Questo procedimento, quando si ha molto legno, costa molto poco, e questo vino è anche, per l’uso, più dolce al gusto di quelli che si preparano secondo i metodi precedenti.[3]

Il successo del passum nel mondo romano era considerevole. Plinio il Vecchio stabilisce una gerarchia geografica precisa: “Dopo il vino di Creta, si apprezza quello di Cilicia e d’Africa.”[4] Ogni terroir sviluppa la sua firma, creando una vera mappa dei sapori mediterranei.

La persistenza storica del fenomeno impressiona: secondo David L. Thurmond[5]specialista della viticoltura antica, il passum cilicio “godeva ancora di grande fama verso la metà del X secolo”, ovvero più di tredici secoli di continuità! Questa longevità si spiega con la notevole adattabilità del prodotto: si trova persino una “forma kasher esportata verso la Palestina romana per la Pasqua”.

Così, il passum non era uniforme. Tutta una gamma di declinazioni esisteva secondo Plinio[6]Psithium ambrato, Melampsithium scuro, Scybelite di Galazia dal gusto di mulsum, Haluntium siciliano… Il diachyton rappresenta un’innovazione particolare: uve essiccate “in un luogo chiuso per sette giorni su graticci a sette piedi dal suolo, al riparo dalla rugiada[7], per ottenere “un vino di gusto e odore eccellenti“.

Contraffazione cretese

Piccola anfora (h: 18 cm) scoperta a Creta, tra il I secolo a.C. e il II secolo. Questa faccia rappresenta Dioniso, l’altra Eros (foto BNF)

Oltre ai testi antichi, l’archeologia moderna getta nuova luce su questa produzione antica. Conor Trainor, ricercatore dell’Università di Warwick, ha condotto da dieci anni scavi a Cnosso che rivelano una realtà più complessa di quanto suggeriscono i trattati di agronomia[8]La sua scoperta di arnie di terracotta associate agli impianti vinicoli indica che alcuni produttori cretesi aggiungevano miele al vino ordinario per imitare la dolcezza del vero passum.

Questa “contraffazione” antica illustra le tensioni eterne tra qualità artigianale e domanda commerciale. Di fronte all’esplosione della domanda romana, alcuni viticoltori privilegiano la redditività sull’autenticità. Le quantità massive di vino cretese importate a Roma suggeriscono che i consumatori romani si preoccupavano meno dell’autenticità di quanto non faremmo noi.

Oggi, la tradizione del vino di uva passa perdura negli Amarone della Valpolicella, nei vini di paglia del Giura, nei Recioto del Veneto, o nel Passum de Mago, vino tunisino moderno prodotto nella regione di Kelibia – antico cuore agricolo di Cartagine. In Toscana moderna, le uve vengono lasciate ad appassire per più di un mese, fino all’inizio di dicembre, riproducendo esattamente i tempi antichi. Questa tecnica di concentrazione degli zuccheri per disidratazione naturale degli acini, sia sulla pianta, sia fuori dal ceppo su graticci o sospese, porta oggi il nome di appassimento, ricordando nella sua radice l’antico passum.

[1] Il termine passum deriva dal verbo latino pandere (stendere, spiegare), il cui participio passato passum significa letteralmente “ciò che è stato steso”. Questa etimologia rivela l’essenza stessa della tecnica: le uve vengono stese al sole per concentrare i loro zuccheri. Columella usa del resto questo verbo esatto nella sua descrizione: sin sole pandere uvas. 

[2] Columella, De re rustica 12.39.1: Passum optimum sic fieri Mago praecipit, ut et ipse feci. Uvam praecoquem bene maturam legere, acina mucida aut vitiosa reiicere; furcas, vel palos, qui cannas sustineant, inter quaternos pedes figere, et perticis iugare: tum insuper cannas ponere, et in sole pandere uvas, et noctibus tegere, ne irrorentur. Quum deinde exaruerint, acina decerpere, et in dolium aut in seriam coniicere, eodem mustum quam optimum, sic ut grana summersa sint, adiicere : conbiberint uvae, seque impleverit, sexto die in fiscellam conferre et prelo premere, passumque tollere.

[3] Columella, De re rustica 12.39.4: Quidam aquam caelestem veterem ad hunc usum praeparant, et ad tertias decoquunt. Deinde quum sic uvas, ut supra scriptum est, passas fecerunt, decoctam aquam pro vino adiiciunt, et cetera similiter administrant. Hoc, ubi lignorum copia est, vilissime constat, et est in usu vel dulcius, quam superiores notae passi.

[4] Plinio, Storia naturale 14.81: Passum a Cretico Cilicium probatur et Africum. et in Italia finitimisque provinciis fieri certum est ex uva quam Graeci psithiam vocant, nos apianam, item scripulam, diutius uvis in vite sole adustis aut ferventi oleo. quidam ex quacumque dulci, dum praecocta, alba, faciunt siccantes sole, donec paulo amplius dimidium pondus supersit, tunsasque leniter exprimunt.

[5] David L. Thurmond, From Vines to Wines in Classical Rome, Leiden & London, 2017, p. 49, 196, 230.

[6] Plinio, Storia naturale 14.80: Vinum omne dulce minus odoratum; quo tenuius, eo odoratius. colores vinis quattuor: albus, fulvus, sanguineus, niger. psithium et melampsithium passi genera sunt suo sapore, non vini, Scybelites vero mulsi, in Galatia nascens, et Haluntium in Sicilia. nam siraeum, quod alii hepsema, nostri sapam appellant, ingeni, non naturae, opus est musto usque ad tertiam mensurae decocto. quod ubi factum ad dimidiam est, defrutum cr. omnia in adulterium mellis excogitata, sed priora uva terraque constant.

[7] Plinio, Storia naturale 14.84: Medium inter dulcia vinumque est quod Graeci aigleucos vocant, hoc est semper mustum. id evenit cura, quoniam fervere prohibetur -sic appellant musti in vina transitum-; ergo mergunt e lacu protinus aqua cados, donec bruma transeat et consuetudo fiat algendi. est etiamnum aliud genus per se, quod vocat dulce Narbonensis provincia et in ea maxime Voconti. adservatur eius gratia uva diutius in vite pediculo intorto.

[8] Conor Trainor, Deux mille ans plus tard, enquête sur une possible fraude au vin dans la Rome antique, The Conversation, juin 2025.


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