L’uovo padroneggiava più del gallo

Vassoio pieno di uova su un affresco nella casa Giulia Felix a Pompei.

Ab ovo usque ad mala1. Un buon pranzo od una buona cena a Roma doveva onorare questa espressione: «dall’uovo alla mela». Di solito mangiato come antipasto durante la gustatio, l’uovo poteva accompagnare un intero menù, fino al dolce. Nell’Arte Culinaria di Apicio, l’ingrediente è citato un centinaio di volte, ma solo una volta come piatto a sé stante, un dessert: omelette al latte, cosparsa di miele.2 Le uova erano indispensabili per molti dolci ed erano anche un eccellente legante per salse e ripieni.

Lontano dallo splendore culinario descritto da Apicio, le uova erano un bene quotidiano per il romano medio. Potevano mangiare uova di diverse specie: oche (le più sacre), fagiani, pernici, anatre, piccioni e infine galline (le più comuni). Le uova potevano essere mangiate crude, sode, alla coque o fritte… Una piccola raffinatezza, secondo Marziale3, era quella di cuocerle nella cenere del camino (e non nella brace, perché era troppo calda). Dopo circa un quarto d’ora, il test della trottola permetteva di giudicare la cottura: l’uovo cotto gira a lungo, altrimenti si ferma rapidamente.

È quasi ovvio sottolinearlo, ma in una dieta povera di carne come quella dei Romani, l’uovo forniva un apporto essenziale di proteine. I Romani selezionavano quindi le galline che erano in grado di produrre molte uova.

Valori culinari, valori gustativi, valori nutrizionali. E i valori simbolici? Anche! All’equinozio di marzo, i romani appendevano uova colorate per celebrare il risveglio della natura e quindi il rinnovamento.

1 Letteralmente «dall’uovo alla mela», cioè «dall’inizio al dolce» o «dal principio alla fine», l’espressione si trova in Orazio, Sermones. 1, 3, 6, e Cicerone, Epistulae ad familiares, 9, 20, 1.
2 Marco Gavio Apicio, De re coquinaria, VII, XI, 8 (303): Ova spongia ex lacte: ova quattuor, lactis heminam, olei unciam in se dissolvis, ita ut unum corpus facias. In patellam subtilem adicies olei modicum, facies ut bulliat, et adicies impensam quam parasti. una parte cum fuerit coctum, in disco vertes, melle perfundis, piper adspargis et inferes. «Frittata di latte: sbattere insieme quattro uova, un’eminenza di latte e un’oncia di olio fino a completa amalgama. Mettete in una padella sottile un po’ d’olio che farete bollire e versateci la vostra preparazione. Quando è finito su un lato, giratelo su un piatto, irroratelo con il miele, spolverate con il pepe e servite». Questa è una delle poche ricette che indicano le quantità.
3 Marco Valerio Marziale, Epigrammata, I,55,12: pinguis inaequales onerat cui vilica mensas / et sua non emptus praeparat ova cinis? «Mentre una grassa contadina carica il tavolo traballante per lui, e le braci che non hanno dovuto essere comprate cucinano le sue uova? Questo metodo di cottura delle uova è indicato anche da Ovidio. Publio Ovidio Naso, Metamorphoseon libri, VIII,667: ovaque non acri leviter versata favilla, «E le uova girarono leggermente sotto una cenere non troppo calda».

Fonti

 


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