Il De re coquinaria: storia di un testo stratificato

Tradotto dal francese


Il libro VI del De re coquinaria ha perso diversi capitoli che sono ancora menzionati nel manoscritto Urb.lat.1146. Ciò riguarda ricette di tordi, pavoni, fagiani che non si ritrovano nel testo.

Accade talvolta che un libro antico sia meno un’opera che un’avventura: una lunga traversata della cultura, del gesto professionale, delle cucine e degli scriptoria. Il De re coquinaria, trasmesso sotto il nome di Apicio, appartiene a questa categoria di testi che si lasciano cogliere solo in movimento. Dietro l’ombra prestigiosa di Marco Gavio Apicio, buongustaio celebre del I secolo, si trova una raccolta la cui materia è stata rimaneggiata, accresciuta, amputata, tradotta, riorganizzata per diversi secoli.

Da un secolo, i ricercatori tentano di ordinare questo insieme. Jacques André, filologo e linguista specialista del latino tecnico, curatore del testo per Les Belles Lettres (1965), vedeva nel testo l’impronta di un lavoro di compilazione tardiva, compiuto verso la fine del IV secolo da un erudito familiare con la dietetica. Altri, come Christopher Grocock, latinista formato alla critica testuale, e Sally Grainger, storica dell’alimentazione e cuoca professionista: nella loro edizione critica (2006), invitano a diffidare di una coerenza troppo bella. Ai loro occhi, la raccolta è soprattutto l’erede di una tradizione culinaria vivente, più vicina alla pratica quotidiana dei cuochi che alle costruzioni letterarie. Queste prospettive, lungi dall’escludersi, illuminano ciascuna una sfaccettatura di questo testo strano, al tempo stesso tecnico, composito e profondamente radicato nel suo tempo.

Un nucleo antico, ma senza autore identificabile

La raccolta contiene indubbiamente un insieme di ricette antiche, forse contemporanee di Marco Gavio Apicio, forse solo provenienti dall’ambiente culinario che fece del suo nome un simbolo di raffinatezza. L’attribuzione resta impossibile da stabilire: le ricette primitive non recano alcun segno d’autore, e la tradizione latina stessa utilizzava «Apicius» come un’etichetta culinaria ben prima che il libro prendesse la sua forma attuale.

Il testo mostra delle lacune – ricetta annunciata ma assente[1], capitoli mancanti nel libro VI[2], schemi perduti[3] – che testimoniano una trasmissione travagliata. Nulla permette tuttavia di concludere che la raccolta originale fosse più strutturata di oggi: queste assenze possono derivare tanto dagli incidenti di copia quanto dall’integrazione progressiva di note e liste.

A ciò esistono aggiunte manifestamente tardive, identificabili grazie a ricette dedicate a personaggi illustri, talvolta imperatori o magistrati di alto rango[4]. La loro cronologia, spesso posteriore di diversi decenni se non di diversi secoli all’epoca di Apicio, attesta che la raccolta è stata completata nel corso del tempo. Queste dediche non formano uno strato omogeneo: sembrano riflettere l’uso vivo del testo da parte dei cuochi.

Salse, medicina, grammatica greca

All’interno di questo nucleo antico, diversi insiemi tematici si intrecciano.

Le ricette di salse occupano un posto importante: Eduard Brandt, nel 1927, dedicò loro uno studio dettagliato e suggerì che alcune derivassero da un De condituris attribuito ad Apicio da molteplici autori tardivi[5]. Il libro X, esclusivamente consacrato alle salse di pesce, sembra infatti rimandare a una fonte diversa da quella dei piatti. Ma nulla obbliga a immaginare un trattato autonomo: la logica di un cuoco o di uno scriba, che raggruppa progressivamente ricette affini, basta forse a spiegare questa configurazione.

Accanto alle salse, il testo rivela uno strato medico riconoscibile: rimedi digestivi e preparazioni lassative[6], così come ricette a balneo, ossia per piatti destinati a essere consumati immediatamente dopo il bagno con uno scopo terapeutico[7]. André interpretava questi passi come il prestito diretto da un trattato dietetico latino. Si può altrettanto bene vedervi la circolazione naturale delle pratiche tra medicina e cucina: nell’Antichità, il cuoco sapiente è anche un praticante della salute.

Ancora più antico, o semplicemente più identificabile, lo strato greco lascia un’impronta netta: vocaboli traslitterati (oxyzomum, leucozomus, embamma), tecniche alessandrine, costruzioni sintattiche tradotte letteralmente dal greco. Brandt distingueva due gruppi, quello dei condita, delle ricette di bevande aromatizzate e di preparazioni speziate[8], e quello del thermospodium (θερμοσπόδιον), scaldavivande o bagnomaria di origine greca[9], provenienti secondo lui da corpora ellenistici. Nulla vieta questa lettura; ma un ambiente culinario bilingue basta talvolta a produrre questa mescolanza di terminologia e sintassi, senza che sia necessario supporre l’esistenza di testi indipendenti.

Ciò che appare chiaramente, invece, è che il De re coquinaria non nasce da un progetto letterario: risulta da una lunga storia di gesti annotati, ripresi, tradotti, completati e riutilizzati.

La versione del De re coquinaria che ci è pervenuta è organizzata in 10 libri di dimensioni diverse.
La versione del De re coquinaria che ci è pervenuta è organizzata in 10 libri di dimensioni diverse.

Verso la fine dell’Antichità: una messa in forma progressiva

La lingua della raccolta, vicina a quella della Mulomedicina Chironis[10] e della Peregrinatio Etheriae[11], permette di situare il suo stato finale verso la fine del IV secolo. André immaginava in quest’epoca un redattore colto, forse medico, che riuniva diversi fascicoli per farne una summa culinaria. Questa ipotesi ha il vantaggio della coerenza: spiega la presenza dei titoli greci, la divisione in dieci libri, l’apparenza di una disposizione tematica.

Ma è altrettanto possibile – ed è l’ipotesi di Grocock & Grainger – che questa messa in forma non sia l’opera di un individuo: le ricette avrebbero potuto organizzarsi progressivamente, di copia in copia, secondo gli usi e i raggruppamenti pratici. L’unità apparente sarebbe allora l’effetto del tempo, non di un progetto.

I manoscritti: un’eredità frammentaria

La storia materiale del testo conferma questo carattere evolutivo. Nessun manoscritto antico è stato finora portato alla luce. Verso l’820, l’abbazia di Fulda (nell’attuale Germania) doveva possedere un archetipo di cui si trova traccia fino all’inizio del XV secolo, poi si è perso.

Da questo modello derivano tuttavia due testimoni carolingi del IX secolo conservati fino a oggi: uno si trova alla biblioteca del Vaticano (Urb.lat.1146[12]) e l’altro all’Accademia di medicina di New York (manoscritto di Cheltenham/New York[13]). Il loro confronto rivela un testo stabile nel suo insieme ma fragile nei suoi dettagli, segnato dall’esitazione degli scribi davanti a un lessico culinario spesso oscuro. Certe anomalie, che si potrebbero credere antiche, sono forse razionalizzazioni medievali.

Tabella dei personaggi citati nelle ricette del De re coquinaria (cliccare per ingrandire).
Tabella dei personaggi citati nelle ricette del De re coquinaria (cliccare per ingrandire).

Gli Excerpta di Vinidario

Nell’Antichità tardiva circolava un’altra raccolta di ricette attribuite ad Apicio, conosciuta con il nome di Excerpta Vinidarii. Questi Estratti di Apicio compilati da Vinidario ci sono conservati in un unico manoscritto, il Codex Salmasianus[14] (VII-inizio VIII secolo). Il testo presenta prima un elenco di spezie, seguito da trentuno ricette. La lingua, manifestamente posteriore al IV secolo, ha condotto Brandt a datare la compilazione alla fine del V o del VI secolo. Il compilatore porta un nome di origine germanica, Vinidario, talvolta avvicinato al gotico Vinithaharjis, ed è possibile che questa raccolta sia stata messa in forma nell’Italia settentrionale.

Alcune ricette degli Excerpta riprendono preparazioni note dal De re Coquinaria[15], la maggioranza sono originali. Bisogna dedurne l’esistenza di un Apicio più completo oggi perduto? Oppure, come pensano Grocock & Grainger, di una pluralità di tradizioni parallele, senza centro fisso? Anche qui, le due letture non si escludono: l’una mette l’accento sulla perdita, l’altra sulla diversità.

L’impronta di un mondo culinario su più secoli

Il De re coquinaria non ci consegna le ricette personali di Apicio, ma piuttosto l’impronta di un mondo culinario su più secoli. Le analisi di André mettono in evidenza un’organizzazione tardiva, uno sforzo di composizione che conferisce alla raccolta una coerenza relativa. Quelle di Grocock & Grainger ricordano la realtà mobile delle tradizioni tecniche: un testo plasmato dalla pratica tanto quanto dalla copia, senza autore né architetto, dove ogni strato si è depositato sul precedente.

👉 Leggere anche: I tre Apicio, o come un nome divenne sinonimo di lusso gastronomico

Bibliografia sommaria

  • André, Jacques, Apicius. L’Art culinaire, Les Belles Lettres, Paris, 1965.
  • Brandt, Eduard, Untersuchungen zum römischen Kochbuche, Leipzig, 1927.
  • Grocock, Christopher & Grainger, Sally, Apicius. A Critical Edition with an Introduction and an English Translation, Prospect Books, Totnes, 2006.
  • Giarratano, C. & Vollmer, F., Apicii sive De re coquinaria libri decem, Leipzig, Teubner, 1922.

I riferimenti al testo seguono la numerazione delle ricette stabilita da J. André. Sono completati dall’indicazione del libro, del capitolo e della sezione.

[1] Apic. 4.3.2 (§166) : Isicium Terentinum facies: inter isicia confectionem invenies. «Fate le polpettine secondo la ricetta di Terenzio – la troverete al capitolo delle polpettine». Ma il De re coquinaria non comporta alcuna ricetta di polpettine secondo Terenzio.

[2] Il libro VI ha perso diversi capitoli che sono ancora menzionati nel manoscritto Urb.lat.1146 (vedi illustrazione). Ciò riguarda ricette di tordi, pavoni, fagiani che non si ritrovano nel testo.

[3] La ricetta §141 (4.2.14) fa chiaramente riferimento a un’illustrazione scomparsa: patellam aeneam qualem debes habere infra ostenditur. «Vedere qui sotto quale stampo di bronzo si deve utilizzare».

[4] Vedere la tabella dei personaggi citati nelle ricette del De re coquinaria.

[5] Diversi autori antichi e medievali attestano l’esistenza di un’opera di Apicio sulle salse e i condimenti: Tertulliano menziona i «condimenti apiciani» (De anima 33: condimentis Apicianis); san Girolamo evoca «le salse di Apicio» (Adversus Iovinianum 1,40: ad iura Apici); il secondo Mitografo Vaticano precisa che «Apicio, personaggio molto vorace, scrisse molto sui condimenti» (II, 269 [= 225] : Apicius quidam voracissimus fuit, qui de condituris multa scripsit); uno scoliaste di Giovenale nota che «Apicio fu l’autore di banchetti scelti e scrisse sui piattini» (Schol. Iuv. 4,23: Apicius auctor praecipiendarum cenarum, qui scripsit de iuscellis); infine, uno scoliaste del Querolus afferma che Apicio «invent[ò] l’arte della cucina e scrisse molto sui condimenti» (Schol. Querolus p. 22,17 : …qui primus coquinae usum invenit et de condituris multa scripsit).

[6] §29 (1.27.1: Sale alle spezie), §39 (1.34.1: Oxigarum digestivo), §53 (2.2.5: Polpettine semplici per rilassare il ventre), §67 a §71 (3.2: Minestra per il ventre), §108 (3.17.1: Ortiche contro la malattia), §111 (3.18.3: Per la digestione), §432 (9.10.12: Ciò ristabilisce molto bene lo stomaco).

[7] §55 (2.2.7: ricetta di polpettine alla fecola da prendere all’uscita dal bagno), §410 (9.4.3: seppie bollite per l’uscita dal bagno) e §419 (9.8.5: altra ricetta).

[8] Ricette §1 (1.1.1: ricetta di vino meraviglioso alle spezie), §2 (1.1.2: vino mielato alle spezie…), §3 (1.1.3: ricetta di assenzio romano), §56 (2.2.8: altra salsa alla fecola), §58 (2.2.10: ricetta di apothermum).

[9] Ricette §131 (4.2.4: patina colante), §135 (4.2.8: patina calda o fredda di sambuco), §136 (4.2.9: patina di rose), §160 (4.2.33: patina di sorbe calda e fredda), §417 (9.8.3: altra ricetta per il riccio di mare). Jacques André traduce thermospodium con «campana a braci»

[10] La Mulomedicina Chironis (letteralmente «la medicina di Chirone per i muli») è un trattato medico del IV secolo consacrato al trattamento dei cavalli.

[11] Peregrinatio Etheriae (o Itinerarium Egeriae) è il racconto, redatto in latino verso il 381–384, di un pellegrinaggio in Terra santa attribuito a Egeria, una cristiana ispano-romana.

[12] Urb.lat.1146 – DigiVatLib – Biblioteca Apostolica Vaticana

[13] The New York Academy of Medicine’s Apicius Manuscript

[14] BnF, Paris, ms. lat. 10318 (Codex Salmasianus), notice codicologique et descriptive, Biblissima.

[15] Excerpta 2 = §131; Excerpta 4 = §266; Excerpta 8 = §434; Excerpta 13 = §154; Excerpta 18 = §435; Excerpta 19 = §155. I titoli sono stati modificati: ciò che era Patina colante (§131) è diventato Caccabina colante (Excerpta 2).


error: Ce contenu est protégé